Come tutelare la nostra democrazia costituzionale dalla pandemia?
Anzitutto riconoscendo lo stato di necessità nel quale siamo
precipitati, ma negando al tempo stesso ogni possibile generalizzazione.
Lo stato d’eccezione non è il paradigma fondativo le nostre comunità
politiche, non è la regola, non può neppure essere legittimato come
strumento di governo, deve invece nei limiti del possibile essere
circoscritto. Se, infatti, non si può negare che la necessità “di fatto”
assurga a fonte autonoma qualora provvedimenti siano necessari per
fronteggiare esigenze improvvise e imprevedibili che mettono in
discussione l’esistenza stessa dello Stato e della comunità di
riferimento, non si deve accettare che terminato lo “stato di necessità”
la rottura delle regole prosegua. In alcuni casi è la stessa
costituzione a indicare i limiti dell’eccezione, in altri tutto avviene
fuori da ogni previsione normativa, nel vuoto delle norme.
Così mentre la nostra costituzione prevede espressamente che si
possano limitare le libertà di circolazione e di riunione per motivi di
sanità, sicurezza o incolumità pubblica, essa appare più indeterminata
sugli strumenti e i modi per far concretamente fronte ad una tale
evenienza. Stabilisce – all’articolo 16 – che sia la legge in via
generale a porre limiti, ma quali siano le specifiche misure da adottare
non può essere stabilito “in via generale”.
Per questo si espande la responsabilità del Governo il quale dovrà
adottare i provvedimenti necessari. Nel caso del Coronavirus l’attuale
esecutivo ha adottato una serie di decreti legge (atti aventi forza di
legge), ma, soprattutto, ha definito le specifiche norme di attuazione –
legittimate non dalla costituzione bensì dallo stesso decreto – con una
serie di Dpcm, ovvero atti cui è responsabile il Presidente del
consiglio dei ministri, sentiti altri responsabili politici (ministri o
presidenti di regione), senza alcun intervento formale né del presidente
della Repubblica, che non emana tali atti, né del Parlamento, che non
converte simili decreti.
Dunque, una piena e solitaria assunzione di responsabilità politica
del Presidente del consiglio in carica in materia di diritti
fondamentali del cittadino.
È una prassi conforme a quanto la costituzione ha stabilito? Direi di
no. Sono atti illegittimi? Anche in questo caso darei una risposta
negativa. È l’autoassunzione di un potere extraordinem che si legittima
per via di necessità. Posta in questi termini credo si comprenda bene
come non si possano sottovalutare né le esigenze che muove il Governo a
salvaguardare la salute pubblica in una situazione di fatto di estremo
pericolo, né la necessità di delimitare il più possibile – nel tempo e
nel contenuto – le deroghe o le sospensioni della legalità ordinaria.
Anche il Parlamento è sotto shock e sta adottando misure di
necessità. La distanza tra quel che dovrebbe fare e quel che può fare è
abissale. La costituzione assegna proprio alle Camere il controllo e le
decisioni finali negli stati di emergenza, ma in questo momento appare
paralizzato, avendo stabilito di sospendere le sedute, non riuscendo
neppure più a votare in fretta a furia i provvedimenti necessari per far
fronte alla pandemia.
Si possono criticare le decisioni organizzative assunte che appaiono
del tutto arrese difronte ai pur sconvolgenti avvenimenti (lo ha fatto
su queste pagine Massimo Villone e dunque non vi torneremo), ma quel che
ancor più preoccupa è l’idea che si sta diffondendo: che in fondo dalla
tragedia si può uscire con nuove e più efficienti regole che valgano
anche per il futuro, nell’ordinaria amministrazione.
È il caso esemplare del voto a distanza. Personalmente credo che
anche in questa fase di necessità si possano trovare modalità
organizzative per assicurare un voto in presenza garantendo tutte le
misure di sicurezza necessarie (voto scaglionato e tempi dilazionati),
ma non è questo il problema di fondo: ammesso che si ritenga che lo
stato di necessità imponga una tale misura, bisognerebbe almeno
riconoscere che si tratta di una deroga legittimata dallo stato di
necessità, non certo una regola da introdurre per migliorare
l’efficienza dei lavori del Parlamento.
In fondo – se così ci si dovesse orientare – vista la “necessità” e
considerata la natura dell’organo, sarebbe essenziale che fossero i
Presidenti della Camere, in accordo con tutti i gruppi, sentiti gli
uffici di presidenza, che autorizzassero la deroga in via d’eccezione,
ribadendo di fatto in tal modo la legittimità delle attuali diverse
normative previste dai regolamenti parlamentari.
Insomma, il pericolo più grave in questa situazione è che qualcuno
possa pensare che si possa in fondo proseguire anche cessato lo stato di
necessità, magari teorizzando uno stato d’eccezione permanente.
Vorrei essere chiaro sul punto: un Governo (fosse anche con
l’appoggio del Parlamento) che adottasse misure simili a quelle
attualmente assunte in assenza di pandemia e in materie che non
implichino la salvaguardia del diritto fondamentale alla salute (ma
anche “interesse della collettività” scrive la costituzione) porrebbe in
atto fatti eversivi della legalità costituzionale.
Nessuna assimilazione è possibile tra l’attuale eccezionale stato di
necessità e le ordinarie crisi perpetue o le emergenze perenni cui siamo
abituati in tempi “normali”. Riconoscere, limitare e circoscrivere gli
stati d’eccezione per evitare che qualcuno si senti autorizzato,
“passata la peste”, ad utilizzare gli stessi mezzi per affrontare la
crisi economico sociale – chessò in materia di migrazioni – ponendo così
in essere un colpo di stato permanente.
Nella Roma antica, com’è noto, esisteva una figura giuridica che
permetteva di salvare la Repubblica nelle situazioni in cui era messa in
gioco la sua sopravvivenza. Il Senato trasferiva tutti i suoi poteri ad
un soggetto per un massimo di sei mesi. Poi, cessato il pericolo, ma
anche solo trascorso invano il tempo definito, nessuno era più
autorizzato a porre in essere atti “dittatoriali”.
Quando qualcuno (Silla prima, Cesare poi) pensarono di estendere lo
stato di emergenza e si fecero confermare oltre il tempo i pieni poteri
ecco che la dittatura da “commissaria” si fece “sovrana”, e la
Repubblica capitolò. Ancora oggi è questa la sfida più grande. Se
infatti adesso sopportiamo limitazioni di libertà disposte in piena e
solitaria responsabilità dal Governo pro tempore in carica, lo facciamo
per necessità, avendo ad esso trasferito di fatto i poteri sovrani.
Consapevoli però che se dopo aver sconfitto il terribile e invisibile
nemico non si dovesse tornare alla normalità rischieremmo di
precipitare nel buio della Repubblica.
* Gaetano Azzariti, tratto dal «Manifesto» del 19/03/2020 disponibile qui https://ilmanifesto.it/i-pieni-e-solitari-poteri-del-capo-del-governo-extraordinem/
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