lunedì 30 marzo 2020

Governo, batti un colpo!


I numeri globali della pandemia
breve resoconto planetario:

Diamo numeri e cifre che abbiamo ripreso da giornali e fonti di prima mano. Proviamo a sdrammatizzare:diamo i numeri e, forse, saremo imprecisi. Siamo davanti, tuttavia, a numeri sanitari in crescita e tra emergenza sanitaria e sociale, assistiamo ad un vortice che procede rapidissimamente e ci fa capire quali rischi si aprono davanti all'umanità.

Ci piacerebbe ricordare ai vertici europei e alle Novelle Marie Antoniette («che mangino vrioches!») della BCE e del'UE  che di fronte a questi numeri, le brioches che ci vogliono concedere per sanità e reddito possono andargli tranquillamente di traverso.

La controproposta è ineludibile: solo come comunità ne usciamo fuori. La strada da seguire è una sola: aprire le contraddizioni e dilatare la voglia di giustizia sociale e il diritto alla salute. Viceversa, l'egoismo di chi pensa di salvarsi da solo, di chi strilla se si concede qualcosa ai poveri, o che lui e la sua etnia valgono di più degli altri, come afferma la destra Europea e Italica, deve essere un fenomeno che va contrastato con fermezza. Il governo non deve sottovalutare cosa cova sotto la brace: il cannibalismo sociale e alle porte e se gli ultimi provvedimenti annunciati da Conte sono una tantum andrà molto male per la tenuta democratica della repubblica e l'unione europea evaporerà da sola.
Servono atti e provvedimenti di reddito universale nonché strutturali per almeno 6 mesi.

La prima regola per affrontare questa emergenza e fare come la vecchia Dc (Democrazia Cristiana). Il Pci si batteva per permettere a tutti di mangiare e avere un tetto sulla testa, la DC gestiva e amministrava anche prebende e altro. Governo fai almeno questo!
Noi ti combatteremo comunque per il bene comune, mentre altri come il signor Draghi, Europa del Nord, la Lega e affini ti combattono per i loro gretti privilegi.
Costoro sono come i sopravvissuti della zattera che naviga in mare aperto e dopo mesi di disavventure si salvano solo per aver mangiato la carne dei compagni di viaggio morti da giorni. Questo dovrebbe essere il nostro domani nel 75° anniversario della vittoria sul nazifascismo? Il cannibalismo sociale?

Ripartiamo dai nostri valori costituenti e l'inverno dell'oggi può diventare domani la primavera della riscossa. Si può vincere, possiamo vincere la pandemia e il modello di sviluppo trentennale che ci ha trovati impreparati al virus, anche e sopratutto grazie allo smantellamento del welfare e delle conquiste del movimento dei lavoratori.
I dati, rigorosamente a spanne
Ancora non esiste un vaccino di contrasto efficace al virus.
2 miliardi di persone in quarantena.1 miliardo di studenti a casa.
Centinaia di migliaia di contagiati, migliaia di morti.
25 milioni di posti di lavoro a rischio solo in Europa
Escluso il polo antartico tutti i continenti sono coinvolti dall'emergenza sanitaria
Il vecchio continente ha circa 500 milioni di abitanti di cui 118 milioni sono sotto la soglia di povertà. Un indice di povertà raddoppiato dal 2008 ad oggi per effetto della crisi economica in atto.
Persi solo in Italia 52 miliardi di consumi.
La sanità in 10 anni ha perso migliaia di posti letto, medici e infermieri.
Non va diversamente nel resto di Europa.

Bruxelles, li senti questi numeri? Senti il dolore versato, fai finta di nulla? Destra padana non ti vergogni a chiedere le elezioni in un momento così drammatico? Governo Conte: socializza cassa depositi e prestiti dove ci sono 250 miliardi di soldi gestiti privatamente da fondi internazionali, banche e palazzinari italiani. Altro che dare in pegno gli immobili pubblici! Rispettiamo le regole e la prima responsabilità è dello stato.
Se lo stato saprà rispettare le regole con senso di responsabilità allora "andrà tutto bene".

Roberto Catracchia

venerdì 20 marzo 2020

Emergenza e pieni poteri *

Come tutelare la nostra democrazia costituzionale dalla pandemia? Anzitutto riconoscendo lo stato di necessità nel quale siamo precipitati, ma negando al tempo stesso ogni possibile generalizzazione.
Lo stato d’eccezione non è il paradigma fondativo le nostre comunità politiche, non è la regola, non può neppure essere legittimato come strumento di governo, deve invece nei limiti del possibile essere circoscritto. Se, infatti, non si può negare che la necessità “di fatto” assurga a fonte autonoma qualora provvedimenti siano necessari per fronteggiare esigenze improvvise e imprevedibili che mettono in discussione l’esistenza stessa dello Stato e della comunità di riferimento, non si deve accettare che terminato lo “stato di necessità” la rottura delle regole prosegua. In alcuni casi è la stessa costituzione a indicare i limiti dell’eccezione, in altri tutto avviene fuori da ogni previsione normativa, nel vuoto delle norme.

Così mentre la nostra costituzione prevede espressamente che si possano limitare le libertà di circolazione e di riunione per motivi di sanità, sicurezza o incolumità pubblica, essa appare più indeterminata sugli strumenti e i modi per far concretamente fronte ad una tale evenienza. Stabilisce – all’articolo 16 – che sia la legge in via generale a porre limiti, ma quali siano le specifiche misure da adottare non può essere stabilito “in via generale”.


Per questo si espande la responsabilità del Governo il quale dovrà adottare i provvedimenti necessari. Nel caso del Coronavirus l’attuale esecutivo ha adottato una serie di decreti legge (atti aventi forza di legge), ma, soprattutto, ha definito le specifiche norme di attuazione – legittimate non dalla costituzione bensì dallo stesso decreto – con una serie di Dpcm, ovvero atti cui è responsabile il Presidente del consiglio dei ministri, sentiti altri responsabili politici (ministri o presidenti di regione), senza alcun intervento formale né del presidente della Repubblica, che non emana tali atti, né del Parlamento, che non converte simili decreti.
Dunque, una piena e solitaria assunzione di responsabilità politica del Presidente del consiglio in carica in materia di diritti fondamentali del cittadino.
È una prassi conforme a quanto la costituzione ha stabilito? Direi di no. Sono atti illegittimi? Anche in questo caso darei una risposta negativa. È l’autoassunzione di un potere extraordinem che si legittima per via di necessità. Posta in questi termini credo si comprenda bene come non si possano sottovalutare né le esigenze che muove il Governo a salvaguardare la salute pubblica in una situazione di fatto di estremo pericolo, né la necessità di delimitare il più possibile – nel tempo e nel contenuto – le deroghe o le sospensioni della legalità ordinaria.
Anche il Parlamento è sotto shock e sta adottando misure di necessità. La distanza tra quel che dovrebbe fare e quel che può fare è abissale. La costituzione assegna proprio alle Camere il controllo e le decisioni finali negli stati di emergenza, ma in questo momento appare paralizzato, avendo stabilito di sospendere le sedute, non riuscendo neppure più a votare in fretta a furia i provvedimenti necessari per far fronte alla pandemia.

Si possono criticare le decisioni organizzative assunte che appaiono del tutto arrese difronte ai pur sconvolgenti avvenimenti (lo ha fatto su queste pagine Massimo Villone e dunque non vi torneremo), ma quel che ancor più preoccupa è l’idea che si sta diffondendo: che in fondo dalla tragedia si può uscire con nuove e più efficienti regole che valgano anche per il futuro, nell’ordinaria amministrazione.


È il caso esemplare del voto a distanza. Personalmente credo che anche in questa fase di necessità si possano trovare modalità organizzative per assicurare un voto in presenza garantendo tutte le misure di sicurezza necessarie (voto scaglionato e tempi dilazionati), ma non è questo il problema di fondo: ammesso che si ritenga che lo stato di necessità imponga una tale misura, bisognerebbe almeno riconoscere che si tratta di una deroga legittimata dallo stato di necessità, non certo una regola da introdurre per migliorare l’efficienza dei lavori del Parlamento.
In fondo – se così ci si dovesse orientare – vista la “necessità” e considerata la natura dell’organo, sarebbe essenziale che fossero i Presidenti della Camere, in accordo con tutti i gruppi, sentiti gli uffici di presidenza, che autorizzassero la deroga in via d’eccezione, ribadendo di fatto in tal modo la legittimità delle attuali diverse normative previste dai regolamenti parlamentari.
Insomma, il pericolo più grave in questa situazione è che qualcuno possa pensare che si possa in fondo proseguire anche cessato lo stato di necessità, magari teorizzando uno stato d’eccezione permanente.
Vorrei essere chiaro sul punto: un Governo (fosse anche con l’appoggio del Parlamento) che adottasse misure simili a quelle attualmente assunte in assenza di pandemia e in materie che non implichino la salvaguardia del diritto fondamentale alla salute (ma anche “interesse della collettività” scrive la costituzione) porrebbe in atto fatti eversivi della legalità costituzionale.

Nessuna assimilazione è possibile tra l’attuale eccezionale stato di necessità e le ordinarie crisi perpetue o le emergenze perenni cui siamo abituati in tempi “normali”. Riconoscere, limitare e circoscrivere gli stati d’eccezione per evitare che qualcuno si senti autorizzato, “passata la peste”, ad utilizzare gli stessi mezzi per affrontare la crisi economico sociale – chessò in materia di migrazioni – ponendo così in essere un colpo di stato permanente.


Nella Roma antica, com’è noto, esisteva una figura giuridica che permetteva di salvare la Repubblica nelle situazioni in cui era messa in gioco la sua sopravvivenza. Il Senato trasferiva tutti i suoi poteri ad un soggetto per un massimo di sei mesi. Poi, cessato il pericolo, ma anche solo trascorso invano il tempo definito, nessuno era più autorizzato a porre in essere atti “dittatoriali”.
Quando qualcuno (Silla prima, Cesare poi) pensarono di estendere lo stato di emergenza e si fecero confermare oltre il tempo i pieni poteri ecco che la dittatura da “commissaria” si fece “sovrana”, e la Repubblica capitolò. Ancora oggi è questa la sfida più grande. Se infatti adesso sopportiamo limitazioni di libertà disposte in piena e solitaria responsabilità dal Governo pro tempore in carica, lo facciamo per necessità, avendo ad esso trasferito di fatto i poteri sovrani.
Consapevoli però che se dopo aver sconfitto il terribile e invisibile nemico non si dovesse tornare alla normalità rischieremmo di precipitare nel buio della Repubblica.

* Gaetano Azzariti, tratto dal «Manifesto» del 19/03/2020 disponibile qui https://ilmanifesto.it/i-pieni-e-solitari-poteri-del-capo-del-governo-extraordinem/

giovedì 19 marzo 2020

Trucchi liberisti dietro il CoVid-19

Alla regione Lazio, ma anche in Lombardia giocano spesso a poker, la fiche viene puntata sulla collaborazione con la sanità privata per affrontare l'emergenza coronavirus.
Con le carte in mano si rilancia sul tavolo verde la posta in gioco, con l'idea di impegnare e risarcire le aziende sanitarie private al 100% del valore di mercato per la collaborazione data.
I privati andrebbero, ripeto, risarciti del 100% del valore di mercato a seguito della collaborazione.
Spero vivamente di essere smentito dal bluff in atto, avrò capito male io?
Poi vado a leggere estratti della Costituzione e del Codice civile che recitano cosi, articolo 42 della Carta: «La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità». Ma non basta, Articolo 43: «A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Poi leggo il codice civile: «l'indennizzo si differenzia dal risarcimento. Il risarcimento è il ristoro che consegue un atto illecito [...] l'indennizzo non deriva da responsabilità civile ma da un fatto che, pur comportando un pregiudizio, si origina da uno stato di necessità».  Allora perché la Regione Lazio non usa l'indennizzo e sceglie il risarcimento per ristorare le prestazioni della sanità privata in una fase cosi drammatica della vita nazionale? L'indennizzo e un costo politico, il risarcimento un costo oneroso. 
Espropriare la sanità privata? Ma no! Mica siamo un governo di sinistra come in Spagna!

Roberto Catracchia

martedì 17 marzo 2020

Soldi al vento, i nostri. È il capitalismo, bellezza.

Fonte foto: Afp - Sole24Ore
La notizia ribattuta dalle agenzie di stampa, in questo caso dall'«Ansa» è davvero implacabile:
nel corso della giornata di ieri [16 marzo 2020 ndr] la seduta delle borse europee è stata al ribasso ed ha «causato uno scivolone dell'indice StoxxEurope600 * del 4,9%».
In termini monetari il crollo equivale a «255 miliardi di capitalizzazione 'bruciati' in una [sola] giornata».
Oggi si prova a rimodulare l'avvio delle borse, ce ne informa il «Sole 24 Ore»: «Netto rialzo per le Borse europee, che rimbalzano dopo l'ennesima seduta nera in cui l'Eurostoxx ha perso oltre il 5% e Piazza Affari è caduta del 6,1%, con i mercati finanziari colpiti dalla paura per gli effetti del coronavirus sull'economia e dalla diffusione del contagio in Europa e negli Stati Uniti. La reazione arriva all'indomani del comunicato dell'Eurogruppo che si è impegnato a prendere qualsiasi iniziativa per supportare l'economia dell'Eurozona. [...] Lo status di Paese ultraindebitato e più colpito dall’epidemia fa dell’Italia un bersaglio ideale della speculazione. Specialmente dopo le parole di Christine Lagarde di giovedì scorso («Non è nostro compito chiudere gli spread»)». 

Non è responsabilità di nessuno, figuriamoci dell'Unione Europea e dei grandi capitali sanare la situazione economica dei paesi membri! Il punto è proprio l'indebitamento che genera speculazione finanziaria, una sorta di serpente che mangia la propria coda per l'eternità.
Le grandi masse di miliardi che vengono investiti, bruciati, ripresi e frutto di speculazioni finanziarie altro non sono altro che il disvelamento della reale natura del capitalismo.
Un sistema che - ogni giorno di più - mostra la sua vera natura: una rapina continua nei confronti della popolazione, inumano, evidentemente irriformabile.

C'è poi da fare anche un brevissimo commento - da post- it - riguardo le parole che riecheggiano nel lessico politico-giornalistico del capitalismo nell'era della sua estensione più selvaggia, nonché in una fase del tutto peculiare come quella della pandemia Coronavirus che sta comprimendo i guadagni dei mercati facendo pagare il conto di questa compressione a centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori.

Il termine ricapitalizzazione ci fa rivolgere la mente ad una situazione imprenditoriale italiana che è ben nota alla popolazione: Alitalia. In quel caso, in piccolo rispetto alle quotazioni azionarie di grandi indici europei e transnazizonali, le perdite le pagavano le lavoratrici e i lavoratori, così come i contribuenti: a fronte di una vasta speculazione privata di una ristretta cerchia di dirigenti in cerca di fare profitto su ogni aspetto della vita dell'azienda, il debito era scaricato sulla fascia più debole del comparto societario. Il tutto mentre la buonuscita dei manager era milionaria: assegni staccati mentre si profilavano licenziamenti di massa e i vari governi profilavano la privatizzazione di Alitalia come unica soluzione.

Questo è il capitalismo, nient'altro: socializzazione delle perdite, privatizzazione dei guadagni.
Ma i soldi sono sempre i nostri.

* Lo StoxxEurope600 raggruppa «i principali titoli quotati sui listini del Vecchio continente» [cfr articolo precedentemente citato nel collegamento ipertestuale].

sabato 14 marzo 2020

Il controllo sociale ai tempi del virus, nonché del “capitalismo della sorveglianza”

Il «manifesto» di oggi [14/03/2020] pubblica un articolo siglato da Andrea Capocci (An. Cap.) che racconta di come la Corea del Sud stia agendo per fronteggiare la pandemia Coronavirus: «La Corea del Sud è un paese abbastanza simile al nostro per popolazione e superficie: un po’ più di 50 milioni di abitanti (noi siamo 60 milioni) distribuiti in 220 mila chilometri quadrati, contro i 301 mila italiani, età media di 42 anni poco inferiore ai nostri 46. Come si spiega che lo stesso virus abbia una così diversa letalità in due contesti analoghi?». I numeri posti al di sopra dell’articolo consegnano al lettore un momento di riflessione riguardo il dilagarsi del contagio nel paese diviso al 53esimo parallelo: «in Corea del Sud ci sono 8.000 casi censiti contro i 15.000 dell’Italia ma i morti qui sono solo 71»

La connessione tra controllo e Coronavirus 
Il controllo sociale, come riporta il titolo dell’articolo, è stato utilizzato per abbassare i numeri del contagio ed evitare la massiccia propagazione del CoVid-19: «Per capire con quali persone un paziente è entrato in contatto […] sono stati usati i tracciati gps dei telefoni, i dati sull’utilizzo delle carte di credito, le telecamere a circuito chiuso. […] Per ottenere queste informazioni sono state integrate le banche dati della polizia, delle società telefoniche, delle assicurazioni sanitarie, delle autorità finanziarie». La diffusione del contagio può essere fermata, dunque, qualora si entri nella vita di tutti i giorni della popolazione, in questo caso sudcoreana, che nel corso degli ultimi dieci anni si è largamente dotata di uno smartphone ad uso personale o lavorativo. 

La questione sembra essere ininfluente ai fini del dibattito politico o pubblico, tuttavia, spesso abbiamo avuto modo di ascoltare – da amici, colleghi di lavoro, parenti – frasi simili a questa: “non importa che io venga tracciato, le mie mail spiate o accenda costantemente la posizione e Google mi mandi resoconti della mia “attività”: non ho nulla da nascondere”. 
Sentenza priva di ogni senso, o meglio, con un significato ben preciso: la totale inconsapevolezza dell’“utilizzatore finale” di dispositivi elettronici a cui è obbligatorio associare un account Google, iCloud e, prima che terminasse il supporto sui propri dispositivi, Windows mobile
L’Ovra o la Gestapo ne sarebbero stati felicissimi. 

Ma facciamo un passo indietro. 
Al momento della diffusione del virus Mers-CoV *, a ridosso del 2012, la Corea del Sud ha registrato il maggior numero di casi dopo l’Arabia Saudita: all’epoca il governo fu criticato per aver negato la concessione di informazioni, come ad esempio i luoghi visitati dai pazienti per contenere il contagio del virus.
La legge è stata modificata al fine di autorizzare gli investigatori ad entrare nei dispositivi elettronici della popolazione: nell’articolo del giornalista Capocci del «manifesto» non è stato fatto cenno alle aziende produttrici dei sistemi operativi degli smartphones proprio perché, a causa di un analogo caso di emergenza di coronavirus, il Governo sudcoreano è corso ai ripari modificando la norma.
Nei dispositivi elettronici della popolazione sudcoreana – riporta la BBC – arrivano notifiche come questa: «Un uomo di 43 anni, residente nel distretto di Nowon, è risultato positivo al coronavirus». «Questi avvisi – scrive Hyung Eun Kim della BBC coreana – appaiono in continuazione sugli smartphones della popolazione indicando dove una persona è stata infetta e quando […] non viene fornito alcun nome o indirizzo ma spesso si riesce a ricollegare conoscenze, luoghi visitati e, dunque, ad identificare le persone: in molti casi si sono ricostruiti adulteri consumati in hotel a ore»**. Il problema legato alla discrezionalità di queste informazioni è tema di indubbio interesse e alla portata di qualsiasi lettore che sappia andare oltre la stupidità della stantìa frase “non ho niente da nascondere”: il mondo transnazionale legato alla interconnessione di utenze mail e navigatori gps inseriti in dispositivi telefonici, unite da un lato alla pratica sempre più diffusa da dedali di “aziende terze” che si preoccupano di profilare gli utenti e, dall’altra, la crescente attenzione da parte dei governi democratico-liberali, desta più di qualche interrogativo.
È evidente che, nel corso degli anni, l’utilizzo degli smartphones, giustapposto all’affinamento, al perfezionamento degli usi che un utente può farvi, alla sempre più duttile utilità dei sistemi operativi ivi installati, ha assunto un ruolo sempre più predominante nella vita della popolazione.
Il sistema che ne è venuto fuori è quello di una pervasività totale all’interno delle nostre vite: il capitalismo entra, così, a gamba tesa in ogni aspetto della giornata di ogni singolo individuo.
Basta concedere l’accesso della posizione del proprio dispositivo e quello del microfono e il gioco è fatto: la profilazione è totale e ogni nostra azione è monitorata in ogni singolo istante.

Spesso riteniamo come la connessione dati sia indispensabile per la vita di tutti i giorni, anche per le operazioni più semplici legate a necessità immediate: falso.
Il bisogno indotto da strumenti sempre più pervasivi nella nostra quotidianità ha fatto in modo che si arrivasse a percepire come necessaria l’interrogazione a Google in un qualsiasi aspetto della nostra giornata: che sia l’indicazione stradale o che sia la trasmissione dei dati personali per il contrasto del coronavirus. La risultante è, tuttavia, quello di una massificata profilazione di utenti informatizzati che posseggono uno smartphone e che, in questo specifico caso nordcoreano, hanno contratto il virus.
Si potrebbe certo sostenere che l’azione messa in atto dal governo sudcoreano è senza dubbio efficace: si notificano a tutti i dispositivi connessi ad internet notizie certificate dal Ministero preposto al fine di informare cittadine e cittadini riguardo il contagio di una data persona in una certa zona del paese. La partita di giro è molto più imponente di quel che si voglia pensare: in cambio del proprio servilismo a sistemi operativi a cui abbiamo concesso l’uso della nostra intimità (voce e iride due aspetti su tutti) e delle nostre azioni quotidiane, possiamo essere informati sulla progressività del contagio del coronavirus, al netto degli “effetti indesiderati”, come quel che è avvenuto il 18 febbraio a seguito di una notifica che riguardava il contagio di una donna di 27 anni. La donna lavorava allo stabilimento Samsung di Gumi e la notifica «ha riportato che alle 18:30 di sera del 18 febbraio» si sarebbe incontrata con una sua amica che aveva partecipato al raduno della setta religiosa Shincheonji***, il vettore di maggior diffusione del contagio nel Paese: «il sindaco di Gumi ha diffuso il suo nome su Facebook e i residenti della città, in preda al panico, hanno iniziato a commentare sulle reti sociali in preda all’odio e alla psicosi: “dacci l’indirizzo del suo condominio”»****.
È arrivato, dunque, il momento di prendere in considerazione l’atto della disconnessione per avviarne un serio dibattito, da marxisti.

Middle East Respiratory Syndrome, sindrome respiratoria del Medio Oriente, detta anche “influenza dei cammelli”, responsabile della sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus.
** Hyung Eun Kim, Coronavirus privacy: are South Korea’s alerts too revealing?, «Bbc», 5 marzo 2020, <https://www.bbc.com/news/world-asia-51733145>.
*** Il vettore di maggior diffusione del contagio del virus è legato ad una congregazione cristiana che in Sud Corea è considerata una setta, come ha riportato l’agenzia «Reuters» nei primi giorni di marzo: «Il governo di Seoul ha aperto un indagine [1 marzo 2020 ndt] sul leader di una setta cristiana (Shincheonji – Chiesa di Gesù al Tempio del tabernacolo e della testimonianza) al centro del micidiale scoppio del coronavirus nel Paese» secondo il governo sudcoreano «la chiesa era responsabile del rifiuto di cooperare con le autorità al fine di fermare la malattia» dal momento che «una grande maggioranza degli oltre 4.000 casi confermati di coronavirus, il numero più alto dopo la Cina, è stata collegata alla Shincheonji, setta di cui è capo il fondatore Lee Man-hee». Secondo il primo cittadino di Seoul Park Won-soon, se Lee e gli altri leader della chiesa avessero collaborato, si sarebbero potute mettere in atto efficaci misure preventive per salvare vite che in seguito sarebbero morte in seguito alla contrazione del virus. 
Shangmi Cha, Murder probe sought for South Korea sect at center of coronavirus outbreak, «Reuters», 2 marzo 2020, <https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-southkorea-murder/murder-probe-sought-for-south-korea-sect-at-center-of-coronavirus-outbreak-idUSKBN20P07Q>.
**** Hyung Eun Kim, Coronavirus privacy: are South Korea’s alerts too revealing?, «Bbc», 5 marzo 2020, <https://www.bbc.com/news/world-asia-51733145>.

giovedì 12 marzo 2020

Corone senza re e senza regina

L'informazione ai tempi del CoVid-19, o più comunemente chiamato Coronavirus, dà anch'essa i segni di uno squilibrio del tutto evidente. Nel gennaio di quest'anno, l'opinione pubblica mondiale è stata scossa dai fatti che provenivano dalla Cina, a causa delle notizie riguardanti gli inizi del contagio dovuto dal Corona e anche dalle impressionanti immagini testimonianti la costruzione dell'ospedale di Wuhan, la città-simbolo della nuova pandemia. L'ospedale Leishenshan è stato costruito in 12 giorni, Huoshenshan in 10, tutto per far fronte alla rapidissima diffusione del nuovo CoVid-19: il primo nosocomio citato ha avuto l'immediato compito di fornire 1.600 posti letto supplementari per la città. La costruzione di queste strutture ospedaliere ha fatto il giro del mondo: la Repubblica popolare cinese ha voluto trasmettere le immagini in ogni angolo della Terra per dimostrare la propria azione nei confronti di tutti gli altri paesi che proprio in quei giorni iniziavano a familiarizzare con quello che, nelle terre ben conosciute da Marco Polo, si è fronteggiato fin da subito.

                                 https://twitter.com/XHNews/status/1225786019825405952

Della Repubblica popolare cinese possiamo pensare tutto e il contrario di tutto: si tratta del primo stato comunista al mondo governato da un solo partito (il Partito comunista cinese) che ha mantenuto l'architrave statale socialista-comunista pur aprendosi - di fatto - all'economia di mercato, sviluppandosi anche imperialisticamente (citofonare Africa orientale), nonostante il mantenimento dei piani quinquennali, della produzione statale e soprattutto di massicci investimenti statali in ogni ambito della propria politica.
In nessun momento della vita dello stato cinese degli ultimi trent'anni vi è stato un taglio lineare, progressivo o «ai fini di razionalizzare la spesa» - come piace dire ai media italiani - che abbia colpito la sanità. Nessun taglio e nessun conseguente ripiegamento dello stato in funzione di un'intromissione di privati nell'architrave statale della sanità.
Il fatto politico e sociale è questo, ci piaccia o meno. 

La reazione italiana e dei media di prima serata ha rappresentato la negazione della realtà, come spesso i telegiornali delle venti sono soliti fare. Il Tg1 del 11/03/2020 ne è la riprova, così come l'approfondimento che ne è seguito, denominato Speciale Tg1, a cui ha preso parte il massimo dirigente dell'Istituto Spallanzani e un docente di Psicologia all'Università del Molise.
Parte il servizio di prima serata: la Lombardia è al collasso. La telegiornalista parla del progetto della regione per far sì che l'ex fiera di Milano, a due passi da San Siro, si possa trasformare in un mastodontico reparto di terapia intensiva. Al momento, però, i lavori non sono ancora iniziati.
E allora via al valzer dei potrebbe sorgere qui, a breve nascerà, il Presidente della Regione avrebbe individuato quest'area. Di certo ci sono solo i condizionali, di estremamente sicuro solo un pugno di illazioni. La telegiornalista prosegue: «la Fondazione Fiera vorrà fare come a Wuhan in Cina: costruire tutto in tempi record».
Nonostante in Cina non esista alcuna Fondazione che possa interferire con la sanità statale, nonostante in Italia si stia mettendo in atto proprio il contrario di quanto strutturato nella Repubblica popolare. Nonostante tutto è stato detto. Perché una cosa è certa: di fronte alla completa inanità delle istituzioni pubbliche e avendo provato sulla propria pelle l'autonomia regionale post-titolo V, un esempio e un termine di paragone è necessario. Anche se è ontologicamente agli antipodi.